Viaggio cosmico tra le biografie Linkedin
Analisi sui motivi per cui le biografie Linkedin sono un miscuglio di titoloni, spesso in inglese, di non facile comprensione
Ti è mai capitato di entrare su Linkedin per cercare il profilo di qualcuno e, scorrendo tra le varie biografie, ne sei uscito con più dubbi che risposte? Sappi che non sei solo.
Leggere i titoli delle biografie Linkedin è un’esperienza travolgente, che ti fa entrare in un loop infinito fatto di ruoli, professioni e figure lavorative dai nomi strani e altisonanti, in cui ti affliggi nella ricerca estenuante di dare una spiegazione a ciò che leggi, ma ne esci più stravolto di prima.
Iniziamo col dire che esiste un divario intergalattico tra i le mansioni realmente svolte nel quotidiano, e quello dichiarato su Linkedin.
N.B: Non vale per tutti e non insinuo che dichiarano il falso — quello che voglio intendere è che in linea generale c’è un atto di edulcorazione eccessiva della realtà dei fatti.
Facciamo alcuni esempi per capire meglio.
Nell’ambito dell’Information Technology che è il settore che conosco meglio, esistono varie mansioni: sviluppo software, analisi funzionale, sistemista, test, coordinatore dei progetti, ecc…
Nella dura e concreta realtà lavorativa di tutti i giorni è difficile stabilire confini concreti dei ruoli. A ogni sviluppatore sarà capitato di passare del tempo a fare analisi e test. Così come ai coordinatori di progetto (che in linguaggio Linkediano vengono chiamati Project Manager, Product Owner, Technical Leader, Delivery Manager e tutta una vastissima serie di nomi, di cui ancora oggi faccio fatica a interpretare la concreta differenza) sarà capitato inevitabilmente di fare test, analisi o interfacciarsi con i clienti. Così come i tester è difficile che non abbiano mai fatto un’analisi di progetto in vita loro, e così via…
Questa enorme confusione fa sì che sia facile appropriarsi su Linkedin di ruoli ben definiti, edulcorandoli con nomi in inglese, perchè si sa: “in inglese fa più figo” e aggiungendo un suffisso blasonato tipo Manager, Strategist, Officer, ecc…
Per non parlare degli Head Of qualcosa. E’ sufficiente essere responsabili di “qualcosa“ (non sempre è facile identificare quel qualcosa) per ottenere il diritto di aggiungere il tanto acclamato Head Of nella propria biografia.
Poi ci sono quei ruoli tipo Solution Architect che significano un pò tutto e niente, ma su Linkedin funzionano. Analizziamolo meglio in italiano: Architetto di Soluzioni: Ehh…? E quindi? Soluzioni di che?
Questo discorso può essere esteso a tutti i settori: i parrucchieri diventano Makeup Artist, i commessi di una salumeria responsabili di reparto e tra poco il panettiere diventerà Bread Architect.
Ma perché accade questo?
Rispondere a questa domanda è un’impresa ardua, quasi quanto decodificare le biografie LinkedIn.
In parte è dovuto al fatto che abbiamo bisogno di etichettare per forza tutto e tutti. Io sono ingegnere, tu sei un avvocato, ecc… come se l'essere umano debba per forza essere identificato inscindibilmente in qualcosa, specialmente nella sua attività lavorativa.
Non dimentichiamoci poi che subiamo ancora un antico retaggio culturale per il quale alcune professioni sono più importanti di altre — questo ha contribuito a quel fastidioso vizio di cambiare i nomi ad alcuni mestieri.
Es: lo spazzino, prima è diventato netturbino e poi operatore ecologico. Questo perchè evidentemente operatore ecologico suona più figo. Come se ci fosse davvero bisogno di marcare l’importanza di tenere le strade pulite.
Per me è inconcepibile questo retaggio. Il mestiere dello spazzino (pardon, operatore ecologico) è importante al pari degli altri. Lo penserebbe anche un direttore di banca (professione considerata più importante di altre secondo gli stereotipi) che non vorrebbe passeggiare per strada in mezzo alla spazzatura con il rischio di sporcare il suo abito elegante.
I social poi hanno inferto il colpo finale. Grazie a loro è venuta fuori la possibilità di mostrarsi al mondo con un proprio outfit personale in formato digitale — questo ha dato il là all'esplosione delle professioni super blasonate che vediamo su Linkedin. L'inglese è entrato di prepotenza nella nostra cultura comunicativa e questo ha dato il via all'invasione degli onnipresenti Manager, Strategist, Chief, ecc…
Ma questa non è l’unica spiegazione. Sono ormai decenni che le influenze mediatiche ci opprimono in ogni modo e ci “costringono” a mostrarci sempre impeccabili da ogni punto di vista: fisico, estetico, intellettuale e ovviamente professionale.
Di questo ne avevo già parlato, ti invito a leggere più in dettaglio l’argomento al link sotto:
La società della perfezione apparente
Aprendo i social ho la sensazione che tutti se la stiano spassando alla grande. Su Instagram e Facebook sono sommerso da foto di viaggi in posti esotici. Chi va in Indonesia, chi si trova tra i templi cambogiani e chi passeggia tra le luminosissime vie di New York nel bel mezzo di Central Park. Ci sono poi quelli che pubblicano le foto dei bellissimi pi…
Lascia pure un commento se anche tu hai avuto la sensazione di non capirci niente muovendoti attraverso le biografie Linkedin.




Oddei, gli appassionati degli alveoli dei lievitati sarebbero d'accordissimo con i Bread Architect nelle diciture LinkedIn. 🤣
Scherzi a parte, il tuo articolo mi ha dato modo di fare diverse riflessioni.
Mi ritrovo con tutto quello che dici e a volte mi diverto a cercare i miei conoscenti, soprattutto quelli che so essere dei provati imbecilli, su tale Social del Lavoro solo per leggere le qualifiche fighe che si sono dati. È uno dei miei guilty pleasure.
Sono dubbiosa sul riconoscimento dell'essenzialità di alcuni lavori basilari per il vivere comune, però.
Quando facevo la traduttrice, ad esempio, mi è capitato di essere denigrata proprio da un direttore di banca, perché non avevo fatti studi classici o scientifici. Altre mie conoscenze con lavori altolocati, diciamo, si rivolgono ai figli con frasi tipo "se continui così, finirai a fare la shampista".
C'è una denigrazione di alcune professioni e la tendenza a dare valore alla persona (anche) in base al lavoro che fa. Non credo però che il naming (lo scrivo in inglese, che fa più figo 😉) risolva il problema